Precancerosi

precancerosi

a cura di Patrizia Miazzo (prevenzione e tumori)

Il carcinoma mammario, una delle grandi neoplasie umane con quelle del polmone, colon-retto, utero e prostata, è assurto nell’ultimo quarto di secolo a rappresentare il tumore per eccellenza. Questa neoplasia, infatti, raccoglie nell’evoluzione dei suoi paradigmi clinico-biologici tutte le complessità, le incertezze e i progressi che caratterizzano la storia e il mondo dell’oncologia. La sua incidenza appare in progressivo aumento nella maggior parte dei Paesi, proprio mentre vengono affinati i mezzi diagnostici. Rimangono incerte e controverse le vere cause, come le prime fasi della trasformazione maligna e quindi risulta difficile mettere in opera misure preventive specifiche. I trattamenti, sempre più multidisciplinari, sono finalmente in grado di offrire interventi chirurgici conservativi e farmaci in grado di eliminare (in una quota apprezzabile di pazienti) le micrometastasi occulte a prezzo di una minima tossicità provocata dai trattamenti stessi.

Abbiamo intervistato il Dottor Virgilio Sacchini, Vice Direttore del Reparto Senologia dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano per avere maggiori informazioni sulle lesioni precancerose mammarie.

Dottor Sacchini, può definire le lesioni precancerose mammarie?

“In realtà nella patologia mammaria non si parla di lesioni precancerose perché sembra che non vi sia un passaggio diretto da una lesione benigna ad una maligna, qui si parla di cosiddette lesioni a rischio. Vuol dire lesioni che una volta identificate con l’intervento bioptico e quindi la diagnosi istologica, possono essere accompagnate a un rischio maggiore che la donna avrà in futuro, tre anni o anche vent’anni, di sviluppare un tumore maligno. In genere queste biopsie si effettuano a seguito di una sintomatologia clinica, cioè per la presenza di un nodulo, oppure perché facendo una lastra o un’ecografia nasce un sospetto e dove la diagnosi istologica evidenzia una lesione benigna. Ma, tra le lesioni benigne ce ne sono alcune che aumentano, per così dire, il rischio e sono quelle lesioni che si accompagnano ad una proliferazione cellulare. Quando si asporta una lesione mammaria possiamo riscontrare diverse caratteristiche di una lesione: la cisti o quella che viene definita dal patologo una displasia o una iperplasia (cioè che le cellule sono aumentate)”.

È vero che esiste poca chiarezza nell’uso della terminologia e quindi dei contenuti morfobiologici delle lesioni?

“In generale vi è una definizione clinica che è quella che viene definita la displasia cistica, per intenderci la mastopatia fibrocistica, una serie di definizioni cliniche che evidenziano un aumento di consistenza palpatoria del seno che il medico interpreta come una displasia cistica o mastopatia fibrocistica. Circa il 30-40% delle donne al di sopra dei 35 anni soffre di questa mastopatia fibrocistica che non è una malattia, ma è solo una composizione di numerosi fibroadenomi dolenti delle ghiandole mammarie e viene definita quando si effettua la biopsia. Siamo nell’ambito di un tessuto più indurito e con aumento di consistenza da definizione istologica e sono molte le definizioni istologiche che si danno per una lesione benigna: l’adenosi, completamente benigna così come le cisti, i fibromelomi e i papillomi. Tutte queste definizioni, se accompagnate dal termine iperplasia, significano un aumento di rischio che la donna avrà in futuro di sviluppare un tumore. Nessuno ha mai dimostrato che queste lesioni se lasciate possano in effetti dare origine a un tumore vero e proprio, cioè un carcinoma. Quindi non vi sono lesioni che si possano definire prettamente precancerose. C’è invece tutta una serie di alterazioni mammarie del tessuto che si chiamano carcinomi in situ. Sono lesioni con cellule tumorali che però rimangono confinate nei lobuli, carcinoma lobulare in situ, oppure nei dotti, carcinoma duttale in situ. In situ significa che sono proprio all’interno dei dotti e che non passano attraverso la membrana. Il carcinoma in situ è forse la lesione precancerosa in senso stretto, preinvasiva, cioè che se lasciata con molta probabilità diviene invasiva, infiltrante nei linfonodi, nei vasi linfatici e quindi dare esito a una vera e propria metastasi. In questo senso un carcinoma intraduttale è una lesione preinvasiva, vuol dire che una volta localizzato e trattato in modo adeguato si può evitare che si formi un tumore infiltrante invasivo. Questo è un carcinoma che viene diagnosticato a seguito di una mammografia, infatti, spesso è una lesione che non si sente ma si vede”.

Quali le problematiche diagnostiche?

“La diagnosi sul sintomo, dove vi è un sospetto clinico, un nodulo o un’area dubbia, deve essere avviata con una serie di procedure diagnostiche che sono la mammografia, l’ecografia e, eventualmente, con mezzi più invasivi che possono essere l’aspirazione con ago sottile oppure quella che viene definita biopsia, con ago più grosso, che consente di aspirare più tessuto quindi di definire una diagnosi più precisa. Ai nostri giorni esiste un mezzo più d’avanguardia che si chiama mammotome ed è un apparecchio che permette all’ago di ruotare e quindi, con un movimento a spirale, di prelevare tessuto con dimensioni sino a sei millimetri e consente quindi una diagnosi istologica assoluta al 100%. Questo esame si applica ogni volta che la mammografia o l’ecografia hanno dei risultati equivoci. Rimuovere una lesione prettamente benigna non è mai una situazione preventiva per un carcinoma mammario, vuol dire che se si asporta un fifroadenoma benigno o un’adenosi, la donna non ha nessuna modifica del proprio rischio di avere un carcinoma mammario successivo. Ed è per questo che si cerca di limitare al massimo gli interventi sulle lesioni benigne, proprio perché non danno nessun vantaggio per la donna. La rimozione di una lesione benigna deve interpretarsi solo come mezzo diagnostico per essere assolutamente sicuri che sia benigna.

L’importanza della diagnosi precoce

L’altro dato invece riguarda lo screening, cioè le donne che non hanno assolutamente nessun sintomo e vengono sottoposte comunque ad un esame che potrebbe diagnosticare una malattia non evidente, un carcinoma mammario iniziale piccolo. La mammografia è l’esame che rappresenta in questo momento quello che noi riteniamo lo standard nello screening e dai 50 ai 70 anni, direi che la mammografia ha inequivocabilmente dimostrato un vantaggio in chi l’ha fatta, ovvero, un 40% di rischio in meno di morire per un carcinoma mammario rispetto a una donna che non effettua questo esame. La nostra sensazione è che la mammografia associata all’ecografia soprattutto nelle donne giovani, dai 50 anni in giù, sia indispensabile quando vi è un sintomo nella diagnosi ma sia comunque raccomandabile anche nello screening, cioè quando si effettua un esame senza che vi sia un sintomo.

Per quanto riguarda l’autopalpazione, indipendentemente dal fatto di saperla fare nel modo corretto è molto poco indicativa, quindi sconsigliata. Mentre un esame emergente è la risonanza magnetica nucleare che consente di evidenziare dei tumori mammari quando hanno un’attiva proliferazione. È un esame che ha una sensibilità molto alta ed è in grado di diagnosticare correttamente la maggior parte dei tumori mammari, quindi i tumori che non vengono rilevati sono molto pochi. È un esame indicato soprattutto alle donne che hanno un alto fattore di rischio”.